di Lina Prosa
Una fantomatica mezza cella di una mezza prigione, di un mezzo carcerato, di una mezza città, di una mezza nazione e del resto tutto a metà…
Il mezzo carcerato si chiama Cristiano 0,50.
Cristiano 0,50
Ho un ago. Lo faccio.
Pungo la pelle. Io abitante della cella 127,50
mi pungolo l’avambraccio,
prima dolcemente, poi duramente
provo a chiamarmi: Cristiano! Che fai?
Che fai lì dentro sotto la carne
tra fiumicelli rossi, corde vocali timide,
tra budella senza massa, tra canali linfatici
alternativi, tra muretti d’ossa, tra midolli
tristemente colorati di grigio,
tra miserie personali nascoste tra le parti,
che fai Cristiano lì dentro?
Sono io che ti chiamo: il primo 0,50 di noi due.
Ho solo un misero microfono a spillo.
Ci provo. Voglio entrare dentro di te.
Mi prendi? Voglio presentarti
il panorama di me all’esterno.
Ti porto gli occhiali da sole.
Finalmente saremo uniti
vittoriosi sul piano polmonare della nostra esistenza
ad ammirare il fascio di luce provvisorio,
breve, trasversale, che si distende tra le sbarre di ferro
di questa mezza finestra,
che poi a poco a poco si ritrae,
come quello che abbiamo visto nel bel quadro
della chiesa del paese dove siamo nati.
Contatto. Contatto Cristiano tra me 1 e me due.
Il posto è questo: 127,50.
Perché la virgola? Il posto è sottoposto
a riduzione ed io a detenzione.
Il posto non è intero secondo il concetto
di stanza numerata degli alberghi
che tu ed io abbiamo praticato poche volte.
Il posto ha esattamente il numero 128
nella sequenza logica che semplifica la visita
dei clienti, dell’albergo o della via,
Ma nella realtà è 128-0,50 (leggasi meno).
Contatto fallito. Che faccio?
Un ago è poca cosa.
Una punturina non può imitare un microfono
a spillo come se fosse il microfonino a scomparsa
sui capelli di un cantante come quello
di piazza San Paolo. Ti ricordi?
La sua voce era un’onda inoffensiva, melodica,
romantica. Superava I muri.
E non erano queste fragili ossa che abbiamo noi
che si mettono di traverso tra di noi come dighe.
Ma muri. Di cemento. Colossi di pietra impastata.
Superava anche i muri abusivi.
La voce entrava dalle porte attraversava tutte le stanze
e usciva dai tetti. Eppure il canto veniva solo da una bocca.
Solo da una gola. A prima vista.
Strategia.
Ti invito a venire fuori dall’armadio di carne
che da tempo è chiuso, serrato.
Perché tanta ostinazione?
Cosa è successo tra di noi?
La stessa cosa per cui mi trovo in questa cella
128-0,50 (leggasi meno)?
Apri.
Lascia sorgere l’interno, dammi materia buona
che è in eccesso dentro di te.
Non altra carne. Ma materia porosa, morbida quasi liquida.
Quello che io sono qui è l’eccesso di quello che tu sei lì.
Sono per tutti Cristiano 0,50. Riuscirò mai ad essere uno?
Sfocia qui fuori. Attraversa gli interni ruscelli, muretti mobili di ossa
ed eccetera…eccetera…eccetera, tutti gli eccetera
che conosciamo dalla nascita. Allagami, tipo un sentimento.
Tipo, un “ti amo” detto all’amata.
Tipo, un abbraccio fatto a chiunque.
Tipo, un bip fatto ad un sistema di altoparlanti.
Contatto-Contatto-Contatto.
Romantico contatto…Giusto. È saliva.
Sputo tra le sbarre dove la luce si è ritirata.
Lo sputo è grasso. Deciso. Arriva a destinazione.
Contatto 1. Il mondo è raggiunto.
Sputo come una volta almeno si sputa
nella rivoluzione. Per rabbia contro il nemico.
Saliva. Manda saliva Cristiano 0,50/2.
Che tu abbia un’oasi nel deserto del tuo interno.
Tira saliva su. Tira. Tira.
Sei il mio pozzo. Sei il pozzo 127,50
Anche senza cortile. Senza donne che vanno
a tirare il secchio dal fondo. Senza madri
che insegnano ai figli come fare.
Senza la truppa dei disgraziati che sanno dov’è
l’acqua ma non hanno il potere di portarla con sé.
Ergiti dal buio di questa mia dimezzata vita.
Va bene anche l’acquolina in bocca.
Anche senza caramella. Senza desiderio
di cassata. Anche senza invidiare il pasto gustoso
del carceriere. Anche senza concorso di sete.
Di piacere.
Arriva. In grande quantità. Lo sento, Ingolfa la gola.
Sputo. Sputo e grido. È un canto umido.
A te piace Mia Martini.
Spunto e al Contatto 2 ti canto “Uomini”.
Ma è triste smettere di cantare.
Ricca è la tua oasi Cristiano 0’50/2.
Mi dai l’urina e mi commuovo.
Mi preparo ad urinare. La vescica è piena.
Piscio qui. Al centro della cella 128-0,50 (leggasi meno).
Viene calda da un punto preciso di dentro.
La faccio uscire lentamente. La guido.
Gusto Il piacere di vederla toccare terra,
allagare il centro di questo posto a metà.
La pozzanghera! Ecco la scena del contatto.
Anche se non ha piovuto.
Anche se non c’è dislivello che faccia da conca.
Luccica. Accade che urino mentre il fascio di luce
attraversa le sbarre e come in un altro bel quadro
della chiesa del mio paese si posa sulla piscia
con la tranquillità di una mano leggera.
Come fosse sempre esistita.
La pozzanghera è uno specchio.
Anche se non c’è la toilette.
Anche se lo specchio non ha visto donne
farsi belle alla festa e maschi guardare
chi c’è alle loro spalle.
Mi piego sullo specchio.
Mi vedo. Mi riconosco.
Giuro che non sono Narciso.
Non è questa la storia.
Contatto riuscito.
Ciao Cristiano 1.
Come stai?